lunedì 27 giugno 2022

Disturbo di Personalità Borderline

 Il Disturbo Borderline di Personalità Il Disturbo Borderline è un disturbo della personalità caratterizzato da instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e da una marcata impulsività. I dati della letteratura riportano un'incidenza del disturbo all'interno della popolazione pari al 2%. Il Disturbo Borderline di Personalità è stato ed è tuttora oggetto di confronto e di discussione nella nosografia psichiatrica e nella psicoterapia contemporanea (Paris, 1993), probabilmente a causa dell'eterogeneità di forme di sofferenza attraverso cui il disturbo può presentarsi agli occhi del clinico e dei conseguenti problemi diagnostici, eziopatogenetici nonché di cura che questo disturbo comporta. 


Il DSM  classifica il disturbo borderline tra i disturbi della personalità all'interno del gruppo definito come "drammatico - imprevedibile" e lo descrive come una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell'immagine di sé e dell'umore ed una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi: 

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono 

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione. 
3. alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili.
4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, ecc. 
5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento auto mutilante 
6. instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni). 
7. sentimenti cronici di vuoto.
8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici). 
9. ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress

Le persone con disturbo borderline mostrano un'accentuata instabilità emotiva, che si manifesta con marcati e repentini cambiamenti dell’umore, soprattutto in risposta ad eventi relazionali spiacevoli, come, ad esempio, un rifiuto, una critica o una semplice disattenzione da parte degli altri. Per controllare quest'instabilità emotiva, utilizzano l'azione impulsiva (ad esempio abusano di sostanze, si abbuffano di cibo, etc.). Talvolta arrivano a procurarsi atti auto lesivi (es. tagli sul corpo con delle lamette o delle bruciature con dei mozziconi di sigaretta, ingerire dosi eccessive di psicofarmaci) o tentativi di suicidio. Le relazioni che questi soggetti instaurano sono spesso intense e coinvolgenti, ma instabili e caotiche. L'altro può passare in breve tempo dall'essere idealizzato all'essere svalutato. Tutti questi aspetti generano in loro confusione e hanno importanti conseguenze sulla stima di sé, facendoli percepire, contemporaneamente, sbagliati e fragili. Le persone con disturbo Borderline sperimentano spesso un'intensa paura dell'abbandono: anche nel caso di separazioni brevi reagiscono con disperazione e rabbia compiendo azioni e sforzi disperati per evitare l'evento temuto.

Il Trattamento basato sulla Mentalizzazione 

Il Trattamento basato sulla Mentalizzazione (MBT) è una tecnica elaborata da Bateman e Fonagy a partire dal 2004, che deriva dal concetto secondo il quale i pazienti borderline necessitano di imparare a “mentalizzare”, ossia a stare fuori dai propri stati d’animo, osservando accuratamente le emozioni proprie ed altrui. La teoria alla base dell’MBT suggerisce che questa capacità si sviluppi mediante un processo di esperienze infantili nelle quali le persone si sentono considerate nei pensieri degli altri (specialmente dei genitori) all’interno di una relazione di attaccamento sicuro con figure significative in grado di tenere “a mente” e considerare l’altro. Nei pazienti con disturbo di personalità borderline questa capacità sarebbe compromessa a causa di un atteggiamento scarsamente mentalizzante e “riflessivo” da parte delle figure di riferimento, i quali non risponderebbero adeguatamente alle esperienze emotive del soggetto, causando così un trauma evolutivo. L’MBT parte da una base teorica psicanalitica ma utilizza anche metodi cognitivi. Le caratteristiche principali che contraddistinguono il Trattamento basato sulla Mentalizzazione sono le seguenti: 
 è utilizzato con pazienti con diagnosi di DBP 
 è effettuato presso il DH psichiatrico, come approccio all’interno del trattamento psicoterapeutico 
 ha come scopo generale di aiutare il paziente a consolidare il senso del Sé in modo da poter stabilire relazioni più sicure grazie all’atteggiamento mentale che il terapeuta deve assumere in ogni situazione clinica. 
E' un trattamento altamente strutturato, ma flessibile, per questo rispondere in maniera funzionale ai bisogni dei pazienti borderline il cui stile di vita è assai instabile, aspetto che si riflette sulle modalità di accesso ai servizi psichiatrici.  

martedì 21 giugno 2022

Il Principio della Minima forza necessaria secondo Peterson






 Il principio della minima forza necessaria


Se non sarai tu – da genitore – a correggere il comportamento sbagliato del bambino, questi si cementificheranno sempre di più nel suo bagaglio di abitudini. In questo modo, sarà poi il più ampio contesto sociale a punirlo in maniera ahimè molto, molto, molto più amara e tragica di quanto potresti fare tu.

Questo in sintesi il pensiero di Jordan Peterson, autore del libro super interessante “12 regole per la vita”, una delle quali è dedicata proprio al tema educativo.

Diversi studi, ma anche solo il buon senso comune in realtà, ci mostrano che bambini poco educati andranno incontro a una vita terribile, perché affronteranno la società senza saper leggere e rispondere ai vari stimoli che giorno dopo giorno arriveranno loro. Rischieranno di trovarsi isolati e infelici, venendo sempre più rifiutati dalle altre persone: nessuno augurerebbe a proprio figlio una sorte di questo genere.

Ecco perché i genitori devono assumersi la responsabilità di fornire una educazione e una disciplina ai loro figli, anche se questo implica assumere nel breve periodo il ruolo di cattivi ai loro occhi.

Ora il punto è che i bambini hanno un temperamento molto differente gli uni dagli altri, e non è facile trovare un metodo unico di educazione che possa andare bene per tutti loro.

Oltre a ciò di cui ho parlato anche altrove – ovvero educarli attraverso complimenti, premi e riconoscimenti per ciò che di buono fanno – oggi volevo condividere qui 5 indicazioni generali sull’educazione, suggerite dallo psicologo Jordan Peterson.


Le regole

La prima idea è che le regole non dovrebbero andare oltre il necessario. Questo perché? Leggi sbagliate potrebbero far perdere il rispetto anche per quelle buone. 

Limita le regole significa concentrarsi sui fondamentali. Ad esempio:

1) Non mordere e non picchiare, se non per autodifesa.

2) Mangia in modo educato e riconoscente.

3) Impara a condividere, così gli altri bambini giocheranno con te.

4) Presta attenzione quando gli adulti ti parlano, così non risulterai antipatico e decideranno di insegnarti qualcosa.

5) Vai a dormire all’ora giusta e senza fare storie, così poi i genitori possono stare insieme e non ce l’avranno con te.

6) Prenditi cura dei tuoi oggetti.

7) Comportati in modo di rendere felici le persone della tua presenza.

Un bambino che rispetta queste regole sarà benvenuto ovunque.

La punizione

Secondo principio è che ogni regola infranta deve andare incontro a una punizione. Punizione è un termine da maneggiare con attenzione, ma secondo Peterson necessario. Quanto deve essere “dura” la punizione? Questa è una domanda decisamente difficile. Peterson suggerisce il principio della minima forza necessaria. Dovresti cioè sperimentare quale sia il più piccolo intervento possibile da esercitare per far sì che il bambino interrompa quella azione. Alcuni bambini con un’occhiataccia già si immobilizzano. Con altri è necessario passare all’ordine verbale. Altri ancora potrebbero avere bisogno di una “schicchera” sulla mano. Certo poi c’è contesto e contesto e bambino e bambino: occorre sempre osservare e bilanciare gli interventi.

Secondo Peterson è troppo facile riempirsi la bocca di cliché come “picchiare i bambini ha l’unico risultato di insegnare loro a picchiare”. Le argomentazioni che fornisce a tal proposito sono secondo me curiose e interessanti, e suggerisco la lettura del suo libro per approfondirle. L’unica accortezza da tenere a mente mentre lo leggerete, è che il discorso che Peterson fa è corretto in generale, ma non esplicita forse con la dovuta precisione le sfumature presenti tra bambini di diversa età, che appunto richiederebbero interventi tra loro molto diversi.

Nella pratica l’autore descrive poi due tecniche che in casi estremi sarebbe bene usare: l’allontanamento momentaneo del bambino e il contenimento fisico. A prescindere dalle tecniche, comunque, secondo me di fronte alla nostra intenzione di punire i nostri figli è giusto chiedersi sempre: quale il più piccolo intervento possibile che posso attuare ora come ora, per interrompere immediatamente l’azione che va corretta?

 

 


Il Narcisimo Patologico


Quali sono i criteri che definiscono un  narcisismo patologico secondo il manuale diagnostico dei disturbi mentali?

  1. Ha un senso grandioso d’importanza (per es., esagera risultati e talenti, si aspetta di essere considerato superiore senza un’adeguata motivazione).
  2. È assorbito da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale.
  3. Crede di essere speciale e unico e di poter essere capito solo da, o di dover frequentare, altre persone (o istituzioni) speciali o di classe sociale elevata.
  4. Richiede eccessiva ammirazione.
  5. Ha un senso di diritto (cioè l’irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative).
  6. Sfrutta i rapporti interpersonali (cioè approfitta delle altre persone per i propri scopi).
  7. Manca di empatia: è incapace di riconoscere o di identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri.
  8. È spesso invidioso degli altri, crede che gli altri lo invidino.
  9. Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntosi.
All'interno di questa categoria vi sono poi dei sottogruppi. Gli Overt ed i Covert.

Cosa s’intende per narcisismo overt e covert?


Rosenfeld (1987) ha distinto due forme di patologia narcisistica: i narcisisti ‘a pelle spessa e i narcisisti ‘a pelle sottile. I primi sono arroganti, aggressivi, tendono a distruggere l’oggetto e sopravvivono grazie all’investimento in un sé idealizzato. I narcisisti a pelle sottile, invece, sono vulnerabili, provano vergogna e senso d’inferiorità, cercano approvazione e sono ipersensibili a qualsiasi critica.

Sia la forma overt che covert di narci
sismo hanno una serie di elementi in comune tra cui il bisogno di ammirazione, fantasie di grandezza, sfruttamento degli altri, sensazione che tutto sia dovuto, il desiderio di rafforzare la propria autostima attraverso l’ammirazione altrui, tendenza alla manipolazione, arroganza, presunzione, eloquio polemico, trascuratezza dei bisogni degli altri e difficoltà nel controllare gli impulsi.

Infine è necessario sottolineare che il narcisimo contraddistingue il genere umano. Lo siamo tutti. La differenza sta nell'esserne ai limiti del patologico.

sabato 18 giugno 2022

Le 12 regole per la vita...Peterson

 Le 12 regole per la vita....Peterson


1 Stai diritto, con le spalle bene indietro

2 Tratta te stesso come fai con chi si affida a te

3 Scegli amici che vogliono il meglio per te

4 Confrontati con chi eri ieri invece di paragonarti a qualcun altro

5 Non permettere che i tuoi figli facciano qualcosa che te li farà piacere di meno

6 Fa' che casa tua sia in perfetto ordine prima di criticare il resto del mondo

7 Ricerca il senso non il vantaggio personale

8 Di' la verità, o almeno non mentire

9 Pensa sempre che la persona con cui parli può sapere qualcosa che tu non sai

10 Parla con precisione

11 Lascia in pace i ragazzi che fanno skate

12 Se incontri un gatto per strada, fermati ad accarezzarlo

venerdì 17 giugno 2022

L'importanza di poter dire di no




L'importanza di poter dire di no

Nella vita dobbiamo imparare a essere comprensivi e a volte ad adattarci agli altri. In altre parole, a esser flessibili. Ci sono persone, però, che per varie ragioni (la mancanza di autostima o la sensazione che se non soddisfano le aspettative altrui non saranno amate) cedono sempre, fino al punto di rompersi. Succede a chi non è riuscito a imparare a dire di no.

Dare aiuto agli altri ed essere generosi, oltre a essere raccomandabile ci apporta vari benefici. Ciò nonostante, è importante dare la priorità e attenzioni a noi stessi.Bisogna essere flessibili senza arrivare al limite e spaccarci in due per compiacere sempre gli altri e mettere i loro bisogni in cima ai nostri. Dobbiamo imparare a dire di no!

Quali sono le conseguenze di non saper dire di no?

Quando non mettiamo limiti, in qualche modo non ci rispettiamo. È come se fossimo invisibili a noi stessi e tutti gli altri avessero il diritto di decidere per noi. Quando questo succede, la nostra autostima diminuisce e spesso lascia spazio a profondi sentimenti di solitudine interiore e fallimento.

Bassa autostima

Essere sempre compiacenti con gli altri senza mai fare quello che vogliamo davvero ci porterà a stare male con noi stessi. Arriveremo a credere che non valiamo nulla, che non abbiamo buone qualità né alcun potenziale. A mano a mano l’autostima ne risente.

Sensazione di solitudine

Quando facciamo sempre tutto per gli altri, quando non siamo sinceri né con loro né con noi stessi in merito a quello che desideriamo e no, finiamo per provare una sensazione di solitudine che ci rende profondamente tristi. Pensiamo che nessuno ci ama per come siamo, ma per quello che facciamo. Con il nostro comportamento, tuttavia, contribuiamo a questa idea. Come faranno gli altri a conoscerci davvero se ci dedichiamo solo a fare quello che vogliono o che pensiamo vogliano?

Sensazione di fallimento

Fare quello che gli altri ci chiedono ha un prezzo: rinunciare ai nostri desideri e alle nostre aspirazioni. Questo ci porta a sperimentare continue sensazioni di fallimentoper ciò che sarebbe potuto succedere. Per un accumulo di sogni infranti e illusioni perse. Per questo dobbiamo evitare di essere così disponibili fino al punto di romperci.

Come imparare a dire di no

Imparare a dire di no è importante per prenderci cura di noi stessi e per metterci dei limiti. Per praticare l’amor proprio e cominciare a dare un valore a noi stessi. Anche se facciamo fatica, non possiamo lasciare che passi il tempo prima di esprimerci. I seguenti metodi possono essere di grande aiuto.

Smettere di avere paura delle critiche

Nessuno sarà mai d’accordo con tutto quello che facciamo o diciamo. Dopo aver accettato questa idea, perderemo la paura di essere accettati e ci sentiremo più forti. Dobbiamo affrontare la paura delle critiche ed essere noi stessi. Tutto ciò che gli altri ci dicono sono solo opinioni.

Immaginarsi in diverse situazioni

Se sapete che fate fatica a dire di no, visualizzatevi nella situazione nella quale vi troverete. Se sapete che vi chiederanno qualcosa, pensate a come potete rispondere. Quale sarà la vostra presa di posizione? Vi sentirete molto più rilassati una volta che vi sarete preparati in merito a quello che potrà succedere. Ciò nonostante, tenete conto che non sempre le circostanze risulteranno come le avevate immaginate.

Non dare troppe spiegazioni

Non dovete giustificarvi quando dite di no.Spiegate il giusto, siate sinceri ed educati. Un semplice “adesso non me la sento” è più che sufficiente.

Molte volte ci lasciamo sopraffare da tanti pensieri. Su cosa diremo, sulla scusa più plausibile da inventare o su come diremo di no. Queste idee girano e rigirano nella nostra testa come un criceto sulla ruota.

Tuttavia, non serve pensare troppo. Date le spiegazioni sufficienti e basta. Se vi soffermate a pensare troppo su questi pensieri, l’unica cosa che otterrete è generare ansia che danneggerà solo voi stessi.


Imparare a volersi bene

Quando vogliamo compiacere sempre agli altri, facciamo spesso cose che non ci va di fare. Dobbiamo imparare a volerci bene, a fare quello che ci piace e a non dedicare tanto tempo agli altri quando non lo stiamo dedicando a noi stessi. Perché ci preoccupiamo tanto per gli altri e così poco per noi stessi?

Non dimostrarsi sempre tanto disponibili

Se vi mostrate troppo disponibili, alimenterete l’idea che tutti e in qualsiasi momento possono contare su di voi. È importante rifiutare le proposte che non vi vanno a genio o semplicemente dire che non avete tempo. A volte potete addirittura fingere di essere distratti o poco attenti. Senza bisogno di dire nulla, gli altri si accorgeranno che anche voi sapete dire di no.

Imparate a volersi bene senza l’approvazione di tutti

Dovete imparare che non potete piacere sempre a tutti. Dopo aver fissato questa idea in mente, vi sentirete più sollevati e non darete tante importanza a quello che possono dire gli altri.

Come dice il famoso detto: “La carità comincia a casa propria”. Non dimenticatelo, perché voi siete la cosa più importante. Se non vi volete bene e non vi prendete cura di voi stessi, nessuno lo farà per voi. 

"La cosa più importante che ho imparato dopo i 40 anni è stata imparare a dire di no quando doveva essere no.”

-Gabriel Garcia Márquez-

giovedì 16 giugno 2022

Gestione del conflitto

 








#psicologo #psicologia #eboli #salerno #sessuologo

mercoledì 15 giugno 2022

La castità imposta


 

martedì 14 giugno 2022

Relazioni Tossiche, Come riconoscerle

 




Che cos’è una relazione tossica? Come ci si accorge di trovarsi in un rapporto di coppia logorante o addirittura pericoloso? Non è semplice, anche perché spesso la relazione parte bene e si intossica gradualmente. Oppure parte già difettosa perché uno o entrambi i partner sono predisposti a rimanerne invischiati. Vediamo le varie tipologie di relaziona tossica e qualche suggerimento per uscirne. 

Capita, a volte, di sentirsi incastrati in una relazione. Si sa da tempo che quel rapporto non funziona più, eppure si continua a portarlo avanti, con conseguenze disastrose per l’autostima e il benessere personale. Queste relazioni tossiche prosciugano le energie e fanno sentire senza via d’uscita. Risulta importante allora riconoscere i segnali di una relazione tossica e sapere come uscirne.

Come si sviluppa una relazione tossica

Cadere nel circolo vizioso delle relazioni tossiche è più facile di quanto sembri. Si tratta, infatti, di relazioni d’amore che all’inizio sembrano funzionare bene. Spesso le due persone si sentono affini, simili e quasi “fatti l’uno per l’altro”. In realtà queste relazioni funzionano bene solo all’apparenza, e spesso danno anzi l’impressione di essere molto forti perché l’intreccio dei meccanismi patologici dei due è molto saldo. Ne sono un esempio il sadismo e il masochismo, o la relazione tra un narcisista e una persona insicura (due quadri che spesso si sovrappongono). Sono relazioni in cui vige un’asimmetria di potere e responsabilità, e dove la sofferenza è strettamente legata al piacere.

Quanti tipi di relazione tossica?

Possono essere individuabili alcuni pattern, ovvero schemi di comportamento, in grado di generare una relazione tossica. Vediamone alcune tipologie: 

  • Relazione sado-mascochistica. La psicoanalista Nancy McWilliams ha descritto la personalità masochistica (o autodistruttiva), tipica di alcune donne maltrattate fin da piccole (ma esistono casi anche al maschile) che scelgono partner sadici, o arrivano a portare in superficie gli aspetti peggiori di un partner adeguatamente affettuoso. Cosa c’è alla base di questo comportamento? Secondo lo psicologo americano Emmanuel Hammer, il masochista è “un depresso che spera ancora”, e nella sua infanzia ha imparato che la sofferenza è il prezzo da pagare per la relazione. I suoi genitori, infatti, erano tendenzialmente assenti, e intervenivano diventando più affettuosi solo quando lui stava male o era in pericolo. In questo modo, il bambino – che si sente privo di valore per la mancanza di attenzioni – impara che se soffre abbastanza riesce a ottenere un certo interessamento. Insomma, soffrire per mantenere un legame è meglio che rimanere soli.
  • Dipendenza affettiva. Le persone in un legame di dipendenza affettiva non riescono a fare a meno di un’altra persona per loro significativa e investono tutte tutte le proprie energie nella relazione, escludendo le altre amicizie, entrando così in una sorta di circolo vizioso tossico (più si isolano, più investono nella relazione). A volte entrambi i partner sono co-dipendenti, alimentando reciprocamente l’ansia e la difficoltà a separarsi. Oppure, una delle due persone è indipendente e sfrutta l’altra per soddisfare i propri bisogni: il partner sfruttatore è spesso un/una narcisista, che alimenta la propria autostima e soddisfa i propri bisogni appoggiandosi sulla parte dipendente della coppia. Anche se la dipendenza è in un certo grado normale in una relazione, diventa pericolosa quando ricorda una tossicodipendenza: proprio come nel consumo di droga, si ha una forte spinta verso qualcosa che è tossico e dannoso per la propria salute.
  • Lotta di potere. In questo caso non c’è una asimmetria di ruoli, ma piuttosto la tendenza di entrambi i membri della coppia ad assumere un ruolo dominante. Anche se la relazione di questa coppia sembra giunta al termine, i due continuano comunque a stare insieme. Non c’è davvero una progettualità e la gioia di stare insieme è ormai scemata. Il loro è un legame disperante e disperato. I continui conflitti spesso celano vissuti depressivi latenti: insomma, tra rabbia e disperazione, i due scelgono di esternare la rabbia. Questo crea conflitti continui il cui scopo è attribuire all’altro le responsabilità della pessima situazione. Questo tipo di relazione tossica è molto frequente nelle famiglie in cui i genitori hanno deciso di “stare insieme per i figli”, ma può presentarsi anche in coppie senza figli che non riescono a lasciarsi.
  • Innamorarsi della persona sbagliata. In questo caso tutte le proprie energie sono rivolte verso una persona che in realtà non è disponibile (perché sposata per esempio), oppure che non fa per noi. Del perché ci si innamori della persona sbagliata ne abbiamo parlato qui. Queste relazioni possono durare anche tanto perché la persona innamorata spera di poter cambiare se stesso oppure l’altro, e che ciò porterà entrambi a essere felici. Ciò che avviene più spesso è che l’altro o si disinteressa o si approfitta di questi sentimenti, creando così dinamiche tossiche.

Quali sono i segnali di una relazione tossica?

Per capire se si è in una relazione tossica è possibile fare riferimento ad alcuni segnali specifici.

  1. Violenza fisica. Il primo indiscutibile segnale di una relazione tossica è l’abuso fisico. Botte, calci, pugni, schiaffi, sono comportamenti inaccettabili. Quando si verificano, è bene uscire prima possibile dalla relazione, cercando aiuto. Nessun tipo di amore include la violenza (e attenzione al rischio di scambiarla per “passione”). 
  2. Violenza verbale e manipolazione. Più sottile di quella fisica ma ugualmente dolorosa. Spesso la rabbia si manifesta sotto forma di svalutazioni, sarcasmo, offese. Il partner (o l’amico/a) diventa una sorta di bullo, che gioca sui punti deboli dell’altro e cerca di indurre nella vittima un continuo senso di colpa.
  3. Litigiosità. Nelle relazioni tossiche il confronto dialettico sano sfocia quasi sempre in un conflitto acido. Non ci si ascolta, l’unico scopo di ogni discussione diventa “smontare” l’altro. Non c’è interesse a incontrarsi in un terreno comune in cui trovare maggiore serenità, si cerca solo di ferire l’altro.
  4. Repentini cambiamenti di “ruolo”. In una relazione tossica è tipico avventurarsi continuamente sui lati del triangolo drammatico, cioè di scambiarsi ripetutamente i ruoli di Vittima, Salvatore e Persecutore. Si ha cioè la sensazione di infilarsi in conflitti sempre uguali, caratterizzati dalle stesse dinamiche e dalle stesse sgradevoli sensazioni. Un esempio: un partner (Salvatore) si prende cura dell’altro apparentemente bisognoso (Vittima), ma questi si ribella o se ne approfitta, diventando così Persecutore e relegando il primo nel ruolo di Vittima. Si tratta in generale di giochi ripetitivi, in cui si perde sempre e non capita mai di “salire di livello” (cioè di crescere come coppia).
  5. Bassa energia e fatica. Le relazioni tossiche comportano un grande investimento in termini di energia mentale. Si pensa di continuo alla relazione e a come comportarsi, continuando a rimuginare e preoccupandosi molto per sé e per le reazioni dell’altro. Si perde serenità e i continui conflitti e le discussioni esasperanti portano a sentirsi affaticati e scoraggiati.
  6. Ansia. Quando si deve incontrare l’altra persona, si sente montare l’ansia: il battito cardiaco accelera, si inizia a sudare e la respirazione è alterata. Le persone tossiche sono molto brave a creare pretesti per litigare e sono molto abili a individuare e colpire i punti deboli dei loro avversari. Avere a che fare con loro è quindi comprensibilmente fonte di ansia.
  7. Bassa autostima. È la conseguenza della svalutazione continua e delle difficoltà che ci si trova ad affrontare ogni giorno nella relazione, che risucchia energie, serenità e benessere. Il carnefice inoltre impedisce alla vittima di crescere e di essere autonoma.

domenica 12 giugno 2022

Elaborazione del lutto

 

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