sabato 22 luglio 2023

Emdr, trattamento di traumi e stress psicologici.

 

Terapia EMDR: come si fa?

La terapia EMDR lavora sui ricordi originati nel momento del trauma. I traumi lasciano una traccia nella mente così come nel corpo e un trigger, ovvero uno stimolo, può riattivarli. Lo stimolo può essere un suono, un odore, un pensiero.



Il ricordo traumatico, immagazzinato nella memoria in modalità non appropriate, si comporta come una ferita che non porta a termine il processo naturale di cicatrizzazione e guarigione. La ferita, allora, perde comunque sangue, e la persona prova sensazioni corporee ed emozioni che disturbano. Anche a distanza di tempo dall’evento traumatico la terapia EMDR sblocca e accelera la guarigione, fisiologica, del corpo.

EDMR: come si svolge una seduta

In una seduta di EMDR sono attivati allo stesso tempo tutti i canali dell’esperienza traumatica, il percettivo, l’emotivo, il cognitivo e il somatico:

  • l’immagine traumatica, fissata più vividamente nella mente, la più disturbante
  • la cognizione negativa, i pensieri negativi autoriferiti quali “Sono in pericolo”, oppure “È colpa mia”
  • le emozioni disturbanti, come paura o rabbia
  • le sensazioni fisiche.

Il paziente trattiene tutti gli elementi del ricordo, e nel mentre il terapeuta stimola i movimenti oculari. Oppure attiva una stimolazione bilaterale, come il tapping, e quindi tattile. Viene quindi favorita una focalizzazione doppia: con un piede il paziente è nel passato, con l’altro è nel presente, nella sicurezza della terapia. La procedura produce una desensibilizzazione del ricordo, seduta dopo seduta sempre meno disturbante.

Il paziente può riprendere a elaborare il trauma, così da “ricollocare il passato nel passato”. La terapia EMDR, all’apparenza semplice, è in realtà una procedura piuttosto complessa. Il paziente va prima messo in sicurezza, e in contemporanea alla stimolazione è possibile che il terapeuta ricorra a interventi cognitivi integrativi, dal momento che difese e diverse parti del sé potrebbero emergere, e dovrebbero essere gestite e integrate.

I numeri dell’approccio EMDR

I soci dell’associazione EMDR sono, in Italia, 7000. In Europa, ovvero in 31 Paesi, sono 25.000. L’associazione è concretamente attiva negli interventi umanitari. In Italia ha fornito supporto a circa 20.000 persone nel contesto di diversi disastri collettivi quali i terremoti dell’Aquila, di Amatrice e di San Giuliano di Puglia, nel crollo del ponte Morandi. E nell’ambito di lutti traumatici: si pensi ai suicidi nelle scuole, o in seguito ad attacchi terroristici.

Grazie a questi interventi e per via dell’impegno civile, sociale e umanitario, il 5 marzo del 2019 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha nominato Isabel Fernandez, presidente dell’associazione, commendatore al merito della Repubblica. Prosegue intanto la ricerca scientifica: sono stati realizzati 48 studi randomizzati, e pubblicati oltre 2500 articoli sulle riviste scientifiche.

EMDR: quali effetti produce nel cervello?

Su quali effetti produca nel cervello la terapia EMDR per certo non si sa, ma sono state avanzate diverse ipotesi: i movimenti oculari stimolerebbero un processo simile al sonno della fase REM (in cui accadono movimenti oculari piuttosto simili in relazione con il processamento e l’integrazione degli accadimenti nella fase di veglia).

Le stimolazioni bilaterali favorirebbero la connessione tra i due emisferi cerebrali, aiutando il recupero di memorie episodiche facilitandone l’elaborazione. Oppure, si ipotizza, permettono il distanziamento dall’esperienza traumatica, dal momento che nel focalizzarsi su di essa, l’attenzione si distrae dal compito di seguire le dita. Il riflesso di orientamento domina su tutto.

L’EMDR in Italia e nel mondo

In Italia è soprattutto il gruppo di Marco Pagani, neurofisiologo del CNR, a studiare il meccanismo d’azione dell’EMDR. Sono adottate tecnologie (elettroencefalogramma, risonanza magnetica funzionale e PET), che dimostrano come la stimolazione bilaterale favorisca le onde lente (delta) tipiche del sonno. La desensibilizzazione del trauma e l’integrazione della memoria ne risulterebbero favorite: viene modificato il circuito amigdala-ippocampo-corteccia orbito frontale. In pratica, i ricordi passerebbero dal sistema limbico alla corteccia, diventando meno disturbanti.

In conclusione, uno studio coreano pubblicato su Nature ed effettuato sui topi, ha confermato che la stimolazione bilaterale agisce sulle comunicazioni sinaptiche tra collicolo superiore (mediatore della riduzione della paura) talamo e amigdala. La stimolazione bilaterale alternata, in buona sostanza, interferisce con l’informazione negativa fissata nelle reti neurali dell’amigdala al momento del trauma. Viene favorita la formazione di nuove reti neurali a livello del collicolo superiore e del talamo mediodorsale, che inibiscono l’attività dell’amigdala.

 

Dott. Luca Sanfilippo Terapeuta Emdr

Psicologo, Sessuologo, 

 

 

mercoledì 1 marzo 2023

Terapia Mansionale Integrata


Che cos’è la Terapia Mansionale Integrata

La Terapia Mansionale Integrata è una terapia breve e strategica, direttiva, orientata a uno scopo preciso quale modificare comportamenti, emozioni e credenze sulla sessualità.

I primi colloqui vengono utilizzati per la ricostruzione del problema e la sua definizione in termini adeguati alla terapia cognitiva comportamentale (definizione del contratto terapeutico e degli obiettivi della terapia).

Come si articola la Terapia Mansionale Integrata

L’intervento di Terapia Mansionale Integrata, che può essere sia individuale che di coppia,  propone una serie di prescrizioni di comportamenti sessuali, le mansioni, che hanno l’obiettivo di intervenire in 4 aree specifiche implicate nella sessualità, a seconda della valutazione iniziale da parte del clinico quali:

1) la conoscenza di sé 
Riguarda la conoscenza personale e comportamentale del proprio corpo, delle risposte sessuali a partire dall’esplorazione visiva e tattile. L’esplorazione dei pensieri, del dialogo interno, del proprio immaginario e dei propri contenuti emozionali, ottenuta con il processo di auto osservazione.

2) la conoscenza di sé con l’altro 
Il partner diventa uno specchio in cui osservarsi, sempre sui tre livelli:

  1. comportamentale, in riferimento al corpo e alle risposte sessuali del partner;
  2. cognitivo, inteso come scoperta della risposta emotiva e dei desideri del partner;
  3. relazionale.

3) la conoscenza del proprio piacere e dei propri vissuti 
Possibilità di sperimentare il piacere sessuale, di scoprirlo nel suo aspetto individuale e di entrare in contatto con le proprie emozioni.

4) la conoscenza dell’intimità di coppia 
L’esplorazione dei comportamenti utili a procurare reciprocamente piacere, nonché l’esposizione a livelli di intimità crescente con la condivisione delle emozioni sessuali, allo scopo di sperimentare l’affidamento reciproco come traguardo in un processo di cooperazione. 

Nella Terapia Mansionale Integrata, alle fasi appena indicate si inseriscono interventi più di matrice cognitivo comportamentale quali la psicoterapia cognitiva, specificando le tecniche utili nel trattamento supportate da dati di letteratura e razionale.

Una parte del trattamento della Terapia Mansionale Integrata è centrata sugli aspetti più di preminenza della terapia cognitivo comportamentale attraverso l’esplorazione e la ristrutturazione cognitiva focalizzata su elementi dell’immagine di sé e del partner, quali l’identità e il ruolo sessuale, la sicurezza di sé e il potere, l’autostima e la gradevolezza estetica, la conoscenza di ciò che si desidera e da cui si ricava piacere. L’analisi e l’eventuale riformulazione di idee e concezioni erronee sulla sessualità e sul piacere. Il perfezionamento e l’apprendimento di varie abilità (sessuali, sociali, di problem solving, di contrattazione e negoziazione).

Bibliografia

  • Fenelli A., Lorenzini R., Clinica delle disfunzioni sessuali, Carocci, Roma, 1999 (1° edizione 1991).
  • Dèttore D. La terapia sessuale. In Galeazzi A., Meazzini P.  (2004), Mente e comportamento. Trattato italiano di psicoterapia cognitivo-comportamentale. Giunti Editore: Milano.
  • Kaplan, H.S. (2000). Disturbi del Desiderio Sessuale. Mondadori.
  • Boscia, F., Simoncelli, C. (1997). Diagnosi e trattamento delle disfunzioni sessuali. Franco Angeli: Milano.

RICHIEDI INFORMAZIONI SU UNA PSICOTERAPIA

 

venerdì 17 febbraio 2023

 


Test sulle dipendenze sessuali.

Sexual Addiction Screening Test (SAST)


Il Sexual Addiction Screening Test è il risultato delle esperienze dei casi trattati nei gruppi di auto-aiuto, nei programmi terapeutici multi modali e da psicoterapeuti privati.

Il test è composto da 25 domande, a cui rispondere Si/No.

1)Hai subito abusi sessuali durante l'infanzia o l'adolescenza?

2)Acquisti o utilizzi con regolarità materiale pornografico?

3)Hai mai continuato delle relazioni sentimentali anche dopo che erano diventate violente da un punto i vista psicologico o fisico?

4)Ti trovi spesso assorbito in pensieri e fantasie sessuali?

5)Pensi che il suo comportamento sessuale non sia normale?

6)Il tuo partner (o altre persone significative) si preoccupa o si lamenta a volte per la tua condotta sessuale?

7)Hai difficoltà a trattenerti quando sai che un comportamento sessuale è inopportuno?

8)Ti capita a volte di stare male per il tuo comportamento sessuale?

9)Il tuo comportamento sessuale ha mai creato problemi a te o alla tua famiglia?

10)Hai mai cercato aiuto (da uno psicologo, da un medico, da un amico, ecc.) perché il tuo comportamento sessuale non ti piaceva?

11)Hai mai temuto che le persone potessero scoprire le tue attività sessuali?

12)Hai mai ferito qualcuno con i tuoi comportamenti sessuali?

13)Hai mai compiuto atti sessuali in cambio di regali o denaro?

14)Alterni spesso periodi di astinenza a periodi di intensa attività sessuale?

15)Hai tentato di interrompere un tipo specifico di attività sessuale senza riuscirci?

16)Nascondi alcune dei tuoi comportamenti sessuali agli altri?

17)Ti capita di avere più relazioni sentimentali allo stesso tempo?

18)Ti sei mai sentito svilito o degradato a causa dei tuoi comportamenti sessuali?

19)Le fantasie sessuali ti servono come via di fuga per i problemi della vita quotidiana?

20)Dopo aver compiuto attività sessuale ti senti depresso?

21)Hai regolarmente abitudini sadomasochiste?

22)La tua vita sessuale ha interferito seriamente con la tua vita familiare?

23)Hai mai tentato di sedurre minorenni?

24)Ti senti schiavo dei tuoi desideri e delle tue fantasie sessuali?

25)Senti che il tuo desiderio sessuale è più forte di te?


Se hai risposto "si" ad almeno 13 delle 25 domande, potresti avere un problema di dipendenza sessuale. Leggi altro materiale relativo al problema dipendenza sessuale, oppure prova a partecipare ad un incontro di SAA per saperne di più sul Programma dei Dodici Passi e sulla fratellanza di SAA.


domenica 1 gennaio 2023

Il Cybersexual Addiction – La dipendenza dal sesso Virtuale

 


Il Cybersexual Addiction – La dipendenza dal sesso Virtuale

La rete oltre ad offrire infinite opportunità ha facilitato anche la ricerca ed il consumo gratuito di materiale pornografico; cosa che prima avveniva quasi furtivamente attraverso ciò che offriva la classica edicola.

Si stima che i primi contatti con questo materiale avvenga tra i 6 ed i 13 anni.

L’utilizzo di queste immagini inizia a diventare patologico quando il soggetto vive una situazione di forte stress dovuto alla continua ricerca di materiale per adulti che mina la vita sociale, relazionale e lavorativa.
Secondo una classificazione fatta
Cooper ci sono tre categorie di utilizzatori di pornografia:

  • Utilizzatori ricreativi (Recreational Users): accedono al materiale sessuale online più per curiosità o per intrattenimento e non sembrano avere problemi correlati ai loro comportamenti sessuali online

  • Utilizzatori sessuali compulsivi (Sexual Compulsives Users): a causa di una predisposizione ad un’espressione patologica della sessualità, utilizzano Internet per le loro attività sessuali in modo compulsivo

  • Utenti a rischio (At-Risk Users): sono gli utenti che hanno sviluppato o rischiano di sviluppare una forma di dipendenza sessuale solo dopo essere entrati in contatto con il sesso online.



Una diagnosi di dipendenza deve soddisfare alcuni criteri:

  • Deve portare delle conseguenze negative di carattere emotivo, lavorativo e sociale;

  • Deve essere presente un pensiero ossessivo nei riguardi del sesso online;

  • Stati frustranti dovuti ai tentativi fallimentari che il soggetto mette in atto al fine di controllare l’impulso di utilizzare il mezzo (internet);

  • Infine compare un particolare fenomeno chiamato Craving ossia il forte stress causato dall’impossibilità momentanea di non poter fruire del materiale per adulti.

Uscire da questa forma di dipendenza senza conoscerne i mezzi risulta essere proibitivo per cui si consiglia di rivolgersi ad uno psicologo che attraverso varie tecniche aiuterà il soggetto a prendere consapevolezza del disturbo ed a iniziare un percorso di cura.


sabato 31 dicembre 2022

DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

 



DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Il disturbo oppositivo provocatorio è caratterizzato da problemi di autocontrollo, rabbia e irritazione, unitamente a comportamenti di polemica e sfida.

CHE COS’È IL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Il disturbo oppositivo provocatorio rientra nella categoria dei Disturbi da Comportamento Dirompente, del Controllo degli Impulsi e della Condotta, caratterizzati da condizioni che implicano problemi di autocontrollo delle proprie emozioni e dei comportamenti. In tali disturbi i problemi descritti si esprimono attraverso comportamenti che violano i diritti altrui, come nel caso di aggressioni, distruzione della proprietà, o che pongono la persona in netto contrasto con le norme sociali o con figure che rappresentano l’autorità.

Nel disturbo oppositivo provocatorio prevalgono emozioni quali la rabbia e l’irritazione, unitamente a comportamenti di polemica e sfida.

La prevalenza del disturbo varia tra l’1 e l’11%, con una stima media del 3,3% circa. L’incidenza può subire variazioni a seconda dell’età e del genere del bambino. Nelle fasce di età precedenti all’adolescenza, il disturbo sembra presentarsi con più frequenza nei maschi, piuttosto che nelle femmine (1,4:1), tale predominanza maschile non è, tuttavia, sempre riscontrata nella fascia adolescente e adulta.

La frequenza del disturbo oppositivo provocatorio risulta maggiore nelle famiglie in cui un genitore presenta un disturbo antisociale ed è più comune nei figli di genitori biologici con dipendenze da alcool, disturbi dell’umore, schizofrenia, o di genitori con una storia di disturbo da deficit di attenzione e iperattività o di disturbo della condotta.

Il disturbo oppositivo provocatorio si caratterizza per la presenza frequente e persistente di umore collerico/irritabile (va spesso in collera, è spesso permaloso o contrariato, è spesso adirato e risentito), comportamento polemico/provocatorio (litiga spesso con persone che rappresentano l’autorità, sfida spesso apertamente o rifiuta di rispettare le regole, irrita deliberatamente gli altri, accusa gli altri per i propri errori), vendicatività. Tali sintomi devono presentarsi nell’interagire con almeno una persona diversa da un fratello e sono, spesso, parte di modalità di interazione problematiche con gli altri.

ESORDIO E DECORSO DEL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

La comparsa dei primi sintomi si verifica prevalentemente in età prescolare e raramente oltre la prima adolescenza; un esordio dopo i sedici anni è molto raro in entrambi i sessi (Kazdin, 1997). Spesso il disturbo precede lo sviluppo di un Disturbo della Condotta; si associa, inoltre, al disturbo oppositivo provocatorio il rischio di sviluppare disturbi d’ansia, disturbo depressivo, pur in assenza di un disturbo della condotta.

È improbabile che i bambini che non hanno mostrato comportamenti aggressivi nella prima infanzia sviluppino livelli elevati di aggressività nelle età successive (Shaw, Gilliom & Giovannelli, 2000).

CAUSE DEL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Alla base del disturbo oppositivo provocatorio può esserci un’interazione tra diversi fattori:

FATTORI INDIVIDUALI

Temperamentali: può verificarsi un’inadeguata interazione tra il temperamento del bambino e il temperamento del genitore. Spesso modalità educative caratterizzate da eccessiva rigidità entrano in contrasto con la spinta a esplorare del bambino.

Biologici: in bambini con disturbo oppositivo provocatorio risulterebbero compromessi sia il sistema di inibizione del comportamento (che impedisce l’azione quando si intuisce che essa potrebbe condurre a esperienze spiacevoli) sia il sistema di attivazione del comportamento (che inizia un’azione quando se ne presenta l’opportunità). Inoltre, si riscontrano alterazioni nelle funzioni esecutive, cioè nei processi cognitivi coinvolti nel mantenimento di attenzione e impegno, nell’inibizione di risposte inappropriate e nella regolazione di risposte emotive e comportamentali (Giancola et al., 1996). Si registra, inoltre, una scarsa attivazione fisiologica che si esprime con livelli più bassi di sensibilità al pericolo (Giancola, 2000).

Nei bambini con disturbo oppositivo provocatorio ci sono evidenze rispetto alla presenza di livelli più bassi di cortisolo (McBurnett et al., 2000) definito come l’ormone dello stress, che può far ipotizzare una ipoattività del sistema nervoso centrale nell’area del controllo degli impulsi e nella previsione delle conseguenze negative dell’azione.

FATTORI CONTESTUALI

Lo stile educativo dei genitori alterna eccessiva rigidità e coercizione (Patterson et al., 1998)  a incoerenza e negligenza. I comportamenti problematici del bambino divengono oggetto costante di attenzioni, mentre quelli positivi risultano trascurati, conducendo a un circolo vizioso che rimanda al bambino un’immagine negativa di sé che rafforza e mantiene i comportamenti oppositivi.

È inoltre molto frequente riscontrare alti livelli di depressione nelle madri di bambini con disturbo oppositivo provocatorio, molto superiori a quelli nella popolazione generale (Nigg e Hinsaw, 1998). Tale osservazione si correla all’evidenza delle difficoltà di accudimento e a interazioni problematiche di madri depresse con i propri figli (Harnish, Dodge, Valente, 1995).

Incidono, inoltre, fattori quali lo svantaggio socio-economico, l’esposizione a modelli aggressivi adulti, alcuni eventi stressanti che possono colpire la famiglia, la mancanza di stimoli cognitivi, il desiderio di voler raggiungere lo status sociale desiderato (Harnish, Dodge, & Valente, 1995).

COSTRUTTI PSICOPATOLOGICI DEL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Nel modello cognitivo-comportamentale della rabbia e dei comportamenti aggressivi in età evolutiva le emozioni e i comportamenti aggressivi del bambino sono regolati dal modo in cui il bambino percepisce, elabora e media gli eventi ambientali, piuttosto che dagli eventi in sé (Nelson & Finch, 2000). La rabbia si pone, dunque, come reazione soggettiva ai problemi e agli eventi frustranti quotidiani.

In questi bambini, infatti, si manifestano ipocontrollo, scarsa riflessività, difficoltà ad assumere una prospettiva diversa dalla propria, assenza di problem solving e quindi, un deficit cognitivo che impedisce di attivare processi di pensiero che guidino in modo funzionale il comportamento (Kendall, 2000).

In particolare, nei bambini con disturbo oppositivo provocatorio è presente la tendenza ad attribuire i propri comportamenti problematici a cause esterne e non dipendenti da se stessi; ciò incide ulteriormente sulle difficoltà nel valutare in modo funzionale situazioni ed eventi e a selezionare strategie adeguate per la risoluzione dei conflitti.

FATTORI DI RISCHIO DEL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

Diversi possono essere gli elementi predittivi per lo sviluppo del disturbo:

  • Fattori temperamentali: sono connessi a difficoltà nella regolazione emotiva e vedono il manifestarsi di alti livelli di reattività emozionale, scarsa tolleranza alla frustrazione.
  • Fattori ambientali: nelle famiglie di bambini che presentano un disturbo oppositivo provocatorio sono frequenti modalità educative rigide, incoerenti o negligenti, che svolgono un ruolo importante nello sviluppo del disturbo.
  • Fattori genetici e sociologici: al disturbo si riscontra l’associazione di marker neurobiologici quali bassa frequenza cardiaca, anomalie nella corteccia prefrontale e nell’amigdala.

TERAPIA DEL DISTURBO OPPOSITIVO PROVOCATORIO

In letteratura è stato dimostrato come interventi sistematici e multimodali abbiano maggiore efficacia nel trattamento dei comportamenti aggressivi (Southam-Gerow & Kendall, 1997) cercando di intervenire su più fronti e prevedendo interventi individuali, familiari ed extra-familiari, ed eventualmente anche psicofarmacologici.

La Terapia Cognitivo-Comportamentale si centra sulle percezioni e i pensieri del bambino con disturbo oppositivo provocatorio nel fronteggiare situazioni da lui percepite come frustranti o provocatorie. Obiettivi cardine che guidano il processo terapeutico sono l’intervento sulle distorsioni nella rappresentazione cognitiva di ciò che accade e la regolazione emotiva, in particolare della rabbia. L’intervento prevede, sullo specifico aspetto di gestione della rabbia, l’insegnamento di strategie di autocontrollo, che aiutino il bambino ad utilizzare i processi cognitivi per modificare i comportamenti disfunzionali e sviluppare strategie alternative per fronteggiare le situazioni.

L’approccio cognitivo-comportamentale è costituito da componenti multiple e integrate:

  • Fase psicoeducativa: si pone come obiettivo quello di insegnare al bambino a riconoscere i meccanismi che attivano la rabbia. È centrale la comprensione della relazione esistente tra situazioni, pensieri, emozioni e comportamenti.
  • Fase di acquisizione delle abilità: è finalizzata all’apprendimento di nuove strategie cognitive e comportamentali che aiuteranno il bambino a fronteggiare e gestire le situazioni che gli provocano rabbia (Nelson & Finch, 2000). Gli apprendimenti riguardano la capacità di parlare a se stesso per ridurre la rabbia (autodialogo), esprimere in modo adeguato le proprie emozioni e richieste (Training di Assertività), trovare le soluzioni più utili e funzionali per gestire e risolvere le situazioni problematiche (problem solving).
  • Fase di addestramento all’applicazione delle abilità apprese: l’obiettivo è la messa in pratica delle abilità apprese, anche attraverso l’utilizzo di compiti a casa, al fine di renderle, con l’esercizio, sempre più consuete.

Nel disturbo oppositivo provocatorio è importante includere nell’intervento i genitori, prevedendo anche con loro una fase psicoeducativa attraverso cui fornire gli elementi per comprendere pienamente il disturbo e i fattori che ne favoriscono il mantenimento. Obiettivi dell’intervento con i genitori sono:

  • Focalizzare la loro attenzione sui comportamenti positivi dei bambini, in modo da incentivare la frequenza con cui si presentano e limitare il verificarsi di comportamenti indesiderati.
  • Acquisire consapevolezza, riconoscere ed interrompere i circoli viziosi che mantengono e rafforzano il problema.
  • Sviluppare pensieri più funzionali rispetto a se stessi ed alle proprie capacità genitoriali.
  • Apprendimento di tecniche comportamentali finalizzate alla creazione di un ambiente familiare affettivamente stabile e coerente.

BIBLIOGRAFIA

  • American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta Edizione. A cura di Biondi M. Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.
  • Giancola P.R., Moss H.B., Martin C.S., Kirisci L., Tarter R.E. (1996), “Executive cognitive functioning predicts reactive aggression in boys at high risk for substance abuse: a prospective study”, Alchoolism: Clinical and Experimental Research, 20, 740-744
  • Giancola P. R. (2000). Temperament and antisocial behavior in preadolescent boys with or without a family history of a substance use disorder. Psychology of Addictive Behaviors, 14: 56-68.
  • Harnish  J. D., Dodge K. A., & Valente, E. (1995). Mother-child interaction quality as a partial mediator of the roles of maternal depressive symptomatology and socioeconomic status in the development of child behavior problems. Child Development, 66, 739-753.
  • Isola L., Mancini F. (a cura di) “Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza” Seconda Edizione Franco Angeli Editore, Milano 2007
  • Kazdin  A. E. (1997). Practitioner review: psychosocial treatments for conduct disorder in children. J Child Psychol Psychiatry, 38:161– 178.
  • Kendall  P. C. (2000). Child and Adolescent Therapy: Cognitive-Behavioral Procedures. New York: Guilford.
  • McBurnett  K., Lahey B.B., Rathouz P.J., Loeber  R. (2000), “Low salivary cortisol and persistent aggression in boys referred for disruptive behavior”, Archives of General Psychiatry, 57, 38-43
  • Nelson W.M. III, Finch A.J. Jr. (2000), Managing anger in youth: a cognitive- behavioral intervention approach, in Kendall P.C. (ed.), Child and adolescent therapy: cognitive-behavioral procedures, Guilford Press, New York
  • Nigg J.T., Hinshaw S.P. (1998), “Parent personality traits and psychopatology associated with antisocial behaviors in childhood attention-deficit hyperactivity disorder”, Journal of Child Psychology and Psychiatry, 39, 145-159
  • Patterson G.R., Forgatch M.S., Yoerger  K.L., Stoolmiller M. (1998), “Variables that initiate and maintain early-onset trajectories of juvenile offending”, Development and Psychopatology, 10, 531-547
  • Shaw  D. S., Gilliom, M., & Giovannelli, J. (2000). Aggressive Behavior Disorders. In: Zeanah CH, editor. Handbook of infant mental health. 2: 397-411. New York: Guilford Press.

lunedì 17 ottobre 2022

Come riconoscere gli autori di violenza contro le donne

 Violenza contro le donne: strumenti per riconoscerla nelle sue diverse tipologie 

Consideriamo violenza contro le donne ogni forma di abuso (fisico, psico-logico, economico, sessuale) esercitato nei loro confronti. 

Violenza fisica: ogni abuso contro il corpo, così come contro le proprietà personali. 


Esempi: percosse, spintoni, lesioni, distruzione di oggetti, di documenti, di permessi di soggiorno, ecc. 


Violenza psicologica: ogni abuso e mancanza di rispetto che colpisce la dignità e l’identità della persona. 


Esempi: critiche ed insulti costanti, umiliazioni ed apprezzamenti negativi da-vanti agli altri, limitazioni negli spostamenti, minacce ed intimidazioni alla donna o ai familiari, minacce di suicidio, ecc. 


Violenza economica: ogni forma di controllo e di prevaricazione sull’autonomia economica e sui diritti di legge. 


Esempi: divieto di lavorare o di cercare un lavoro, segreto sulle entrate familia-ri, estorsione di firme su conti correnti o atti pubblici, mancato adempimento degli obblighi di mantenimento, ecc. 


Violenza sessuale: ogni forma di imposizione e di coinvolgimento in atti-vità sessuali non desiderate. 


Esempi: il partner/ un familiare/ un amico/ un conoscente/ un estraneo co-stringe a rapporti sessuali indesiderati, impone l’utilizzo di materiale porno-grafico, obbliga ad attività sessuali in presenza di o con altre persone, ecc. 


Violenza culturale: ogni forma di violenza contro le donne considerata normale componente del tessuto culturale ed in alcuni casi non identificata come tale neppure dalle vittime. 


Esempi: crimini d’onore, pratiche rituali quali le mutilazioni genitali femmini-li, matrimoni forzati, schiavizzazione ed isolamento fisico e morale, tratta e ri-duzione in schiavitù, ecc. 


Stalking, detto anche “sindrome del molestatore assillante”: ogni forma di comportamento anomalo e fastidioso verso una persona, costituito da co-municazioni intrusive oppure da comportamenti volti a controllare la pro-pria vittima. 


Esempi: telefonate e lettere anonime, sms ed e-mail assillanti, invio di fiori, pe-dinamenti, appostamenti, sorveglianza sotto casa, violazione di domicilio, mi-nacce di violenza, aggressioni, fino ad omicidio o tentato omicidio. 


Violenza assistita intrafamiliare: ogni atto di violenza contro un ele-mento della famiglia (nella maggior parte dei casi si tratta di una madre vittima di un partner violento) che avviene nel campo percettivo di un mi-nore. 


Esempi: bambini che assistono a maltrattamenti sulla madre ad opera del co-niuge violento e spesso costretti a mantenere il segreto su ciò che succede in famiglia. 


Violenza sul lavoro: ogni comportamento lesivo dell’integrità psico-fisica della persona nel rapporto e nel luogo lavorativo. Riguarda le donne impie-gate nelle varie aree dei settori economici industriali, commerciali, dei ser-vizi, fra cui le lavoratrici che svolgono il lavoro domestico e l’assistenza alla cura della persona. Sono più a rischio le lavoratrici immigrate con riferi-mento particolare a quelle irregolari. 


Esempi: ricatti sessuali al momento dell’assunzione o per un avanzamento di carriera o per il rinnovo del permesso di soggiorno, ricatto occupazionale lega-to alla gravidanza, violenze sessuali, lavoro forzato, mobbing.



giovedì 22 settembre 2022

Il bisogno di Essere Accettati

                    5 COMPORTAMENTI DI CHI VUOLE SEMPRE ACCONTENTARE TUTTI


Vedere gli altri contenti per merito tuo è bello. Ti fa sentire altruista.

A volte però diventa un problema. Il bisogno di accontentare tutti può impedire di vivere serenamente e obbligare a fare cose che non vorresti fare, mettere in secondo piano i tuoi desideri per soddisfare quelli degli altri.

Chi ci è caduto, lo descrive come una trappola, quando sai cosa gli altri si aspettano da te non puoi fare a meno di darglielo.

Vediamo 5 comportamenti che affliggono chi prova ad accontentare tutti.
 

1 Non riesci a dire di no.

Non si può dire sempre sì alle richieste di tutti, non basta il tempo. Allora prima rinunci al tuo tempo libero, perché sei l’unico a cui riesci a dire di no. Purtroppo, vista la tua disponibilità le richieste degli altri diventano troppe e troppo frequenti. Allora devi dire qualche altro no. Il paradosso è che dirai no più facilmente alle persone con le quali sei più legato. Con loro è più facile perché hai più confidenza. E così ti ritrovi a negare il tuo tempo al partner per dedicarlo a un collega del quale non ti frega niente, ma con il quale non vuoi fare brutta figura.

Suggerimento: anziché rispondere sì, impara a rispondere “non sono sicuro, devo controllare”. In questo modo prenderai tempo e potrai valutare a mente fredda la tua reale disponibilità.


 
2 Prendere decisioni ti affatica molto.

Prendere decisioni è molto più difficile se lo fai chiedendoti quale cosa gli altri si aspettano che tu decida. Non potendo entrare nella loro testa ti tocca immaginare cosa pensano. Purtroppo così la tua decisione non dipenderà più da cosa è meglio fare, ma dalle emozioni che provi immaginando il suoi effetto sugli altri.

Suggerimento: prenditi del tempo per escludere gli altri dalla tua decisione. Fai un elenco dei pro e dei contro per te. Una volta fatto questo, il peso dell’opinione altrui viene depotenziato.

 
3 Non chiedi aiuto.

Siccome rispondi sempre di sì a tutti, saresti legittimato a domandare agli altri qualsiasi favore. Invece non ci riesci perché temi che così gli altri possano chiederti ancora più aiuto. Hai paura di dover ricambiare, ma nei fatti ti limiti a dare sempre senza prendere nulla in cambio.

Suggerimento: chiedere favori è una cosa che si può imparare, che devi imparare. È sbagliato non saper contare sugli altri. Allenati, chiedi dei piccoli favori a qualcuno.

 
4 Non vivi secondo i tuoi valori e desideri.

Se investi tutto il tuo tempo e le tue energie per confermare l’opinione che gli altri hanno di te, non te ne restano per fare ciò che ami veramente. Per esempio, preferiresti stare con il tuo partner, ma non riesci a dire di no all’amico che ti chiede di uscire. Oppure il contrario. Non sei emotivamente libero di dedicarti a cosa ti fa stare bene.

Suggerimento: stabilisci all’interno della settimana del tempo per te. Decidilo a priori e proteggilo dalle richieste esterne. Dopo spendilo facendo quello che ami.


 
5 Non stabilisci dei confini salubri tra te e gli altri.

La disponibilità che concedi agli altri è la misura della tua identità. Se ti si può chiedere tutto gli altri cominceranno a considerarti come un’estensione delle loro opzioni ogni volta che avranno un problema. Invece sei una persona che gentilmente concede loro un favore.

Suggerimento: evita che le persone si approfittino di te. Puoi concedere un favore, ma non può diventare un’abitudine. Imponiti di rifiutare se il numero di favore fatti alla stessa persona stanno diventando troppi, se tra un favore e l’altro è passato poco tempo e se i favori richiesti ti obbligano a spendere molte energie.
 

Bibliografia.
Amy Morin (2014), 13 things people mentally strong don’t do.